lunedì 15 settembre 2008

dannata sfortuna

per mia dannata, dannatissima sfortuna, mi sono innamorata del marito di una mia amica.
e se non fosse per il loro matrimonio, celebrato poco tempo fa, me lo sarei gia preso.
sono pazza o solo viziosa, egoista, fate voi; e lo dico perchè l'uomo della mia amica, il suo uomo, il suo sposo, l'ho avuto tra le braccia e lui, ha avuto me tra le braccia, ha assaggiato il mio sapore e mi ha detto "... ti ho cercata per tanto tempo e finalmente ti ho trovata." queste sono frasi che ti spaccano a metà. frasi che si incastrano tra il cuore e la gola e rimangono a lungo a macerare insieme ad una sensazione di appartenenza, che mai più proverai, mia povera illusa e delusa anima. ma questo è accaduto cinque anni fa e la mia amica non lo sa.
coi piedi nella pioggia, ieri, sono rimasta davanti al portone di casa loro, a piangere dell'acqua che mi inzuppava, dell'immagine di noi che si sfuocava.

per fortuna loro sono in viaggio di nozze, l'ho pensato mentre mi asciugavo i capelli: altrimenti cosa avrebbero pensato vedendomi lì?, aggrappata come un condannato alle sbarre del cancello, con un'espressione spettrale per via del mascara sciolto sulla pelle e dei capelli appiccicati alla fronte.
un'immagine penosa.

ma loro, per fortuna (?), sono in viaggio di nozze e non mi hanno vista: ma forse sentita sì, perchè ad un certo punto ho gridato. un grido che lo senti dopo qualche istante quando esce dal frastuono della pioggia lentamente, e rieccheggia e si confonde, nel fragore delle auto sull'asfalto inondato.

ho pianto così abbandonata a me stessa, da non ricordare quando ho acceso l'auto per andarmene da quel luogo divenuto ameno.
sento di averlo perso e non sarebbe abbastanza questo a distruggermi, se non sapessi che è per sempre.
è una frase che ho sempre snobbato, "per sempre", mi sembra così teatralmente falso dire "ti lascio per sempre" o "ti amo per sempre".
ma adesso, adesso mi sembra che se dovessi anche solo pronunciare la frase, "ti ho perduto per sempre", potrei cadere da questa sedia in uno stato di dolore cronico, da cui non si guarisce e di cui, tuttavia, non si muore; ti tiene in vita, in una cudele lucidità.

tanto per alleviare lo sconforto, cari amici sconosciuti, vi voglio raccontare come ho conosciuto quest'uomo immenso, per anima e sentimento, molto tempo fa, quando avevo solo 15 anni.
ho incontrato i suoi occhi una sera, li ho guardati dentro, come si guarda nel diario di una vita antica e sconosciuta a tutti. l'ho riconosciuto come fosse nella mia memoria da prima che il mondo nascesse, ed è bastato uno sguardo nell'altrove dei suoi occhi, per innamorarmene.

dopo quella sera non l'ho visto per mesi, poi, è venuto dove lavoravo e mi ha raccontato, come fossimo da sempre amici, la fine di una sua storia d'amore. lui parlava ed io tremavo, nel mentre di una pausa caffè (probabilmente la più lunga nella storia delle macchinette automatiche).
qualche sera dopo abbiamo cenato insieme. la mia goffaggine, che tentavo di mascherare inutilmente, deve averlo divertito, ma lo temevo, rispettosamente, come si teme il proprio mentore, e non ho avuto abbastanza coraggio per dirglielo. lui aveva 24 anni, io 17 e a quel tempo, mi sentivo così inadeguata, così infantile e inesperta. lui aveva avuto chissà quante storie, chissà quante donne.

non ci siamo più visti, la paura mi ha congelato il cervello, così, quando mi ha invitata di nuovo dopo qualche giorno, gli ho risposto di no, con la tranquillità di chi ha scampato un fallimento, senza sapere che sarebbe stata la mia miglior vittoria su me stessa, sulla mia virulenta timidezza.

maledetta io e la mia fottuta emotività!

il tempo è passato ed ho avuto una storia lunga 5 anni che poi è finita, e una sera sono andata in un locale che non frequentavo da tempo.

era giugno e c'era caldo, mentre parcheggiavo l'auto ho sentito la sua voce nel vento. credevo di aver sognato, ma ho ascoltato bene, (ve lo immaginate? io, inebetita, in mezzo al parcheggio, con le orecchie tese) ferma in cerca del corridoio d'aria che aveva portato quel brivido; ed eccolo di nuovo.
lui.
lui nel vento.

nonostante i trenta gradi la pelle mi si è increspata ed ho vacillato fino all'interno del locale, dove la gente si accalcava e beveva, e ho sgomitato per passare e poi, di colpo, sono stata risucchiata fuori dalla calca e l'ho visto a un metro da me, con il microfono in mano e i suoi occhi mirati al centro del mio cuore.
ho sorriso senza fare alcun cenno e mi sono lasciata cadere su una sedia, io appesa agli occhi suoi. io: trafitta da una caldissima carezza.

furono tre mesi di "baciami", "sposami", "ti amo", "mangiamo insieme?".. "dormi con me"... tre mesi di "non riesco a non pensarti"... "mi manchi già"... "non riesco a resisterti"... "andiamocene da quì... "...

ricordare tutto questo è stato difficile. non ci volevo credere che era stato così bello e unico il nostro amore. non mi era mai capitato di stare così bene con una persona. mai nel sesso, nella giornata, nella notte. mai che qualcuno pensasse esattamente quello che stavo pensando, mai nessuno che mi abbia chiesto perdono per non avermi capita prima.
ed io l'ho lasciato, in un modo che mi fa vergognare.
15 giorni fa, al suo matrimonio, ho visto l'immagine di noi come un'istantanea che scompare e di colpo ho realizzato, guardando come la abbracciava e come la baciava, che quella potevo (dovevo) essere io.
ho realizzato che quei baci non li avrei potuti più avere.
avere... avere i suoi baci, e le sue mani. diomio. cosa ho fatto.
la sofferenza è fisica. in questi casi, la mancanza spinge dentro alla carne la sua lama fredda e ti senti rotto a metà, nel mezzo del petto, come un bersaglio colpito al centro di una debolezza incontrollabile.
l'ho lasciato perchè ero incapace di liberarmi delle mie limitazioni. perchè non avevo mai conosciuto un uomo indipendente.
ma tutto questo non ha più alcuna importanza, nè per me, nè per lui.

l'ho lasciato.

l'amore della mia vita. l'unico che sia stato in grado di sciogliere i sensi nel mio ventre fino a mozzarmi il fiato.

l'ho lasciato. diomio.




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